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Francesco Poli – All over: la profondità della superficie

Francesco Poli

Shinya Sakurai – All over: la profondità della superficie

Anche se apparentemente sono di immediata e fresca fruibilità decorativa, le pitture di Shinya Sakurai non sono di così facile lettura come sembrano a prima vista. Se le osserviamo con calma e attenzione, se lasciamo che il nostro sguardo venga coinvolto nelle fitte textures che ricoprono senza soluzioni di continuità tutto lo spazio delle tele, veniamo progressivamente coinvolti in una irridescente dimensione di vibrante tensione quasi ipnotica, da un raffinato e complesso gioco di combinazioni cromatiche seriali e allo stesso tempo sottilmente variate.
Formalmente le unità di base sono dei piccoli tasselli di colore,
un nugolo di semplici configurazioni segniche/pittoriche in stretta interconnessione fra loro come pezzi di un puzzle o come agglomerati ordinati anche se sempre in qualche modo fluttuanti. Le composizioni hanno, nel complesso, colorate valenze astratte geometrizzanti, ma in molti casi sono costituite da sintetici elementi iconici e simbolici che animano con significati più profondi la dialettica pittorica di superficie. È il caso delle serie
di dipinti dove troviamo delle sequenze di croci, o quelle più accattivanti in cui dominano schiere di cuoricini.
Anche se nel lavoro di Shinya (che ormai da tanti anni vive in Italia a Torino) è sempre avvertibile una certa influenza della specifica cultura e del gusto del suo paese natale, il Giappone, l’artista è soprattutto interessato a sviluppare un linguaggio espressivo con caratteri assolutamente generali, di diretta comprensione universale. Per lui l’arte deve essere un mezzo per trasmettere in modo suggestivo un messaggio di speranza in un mondo migliore, una visione poetica che inneschi in chi guarda i suoi quadri un senso di serenità e di felicità. Il suo è un ben cosciente ottimismo della volontà, non una facile e gradevole proposta estetica. E si può comprendere bene quest’attitudine dell’artista se ci soffermiamo, in particolare, sul significato dei suoi quadri di qualche anno fa intitolati Love from Hiroshima. Sono dipinti di gioiosa e luminosa cromaticità, in cui vediamo il fungo atomico che sembra una sorta di grande cono di spumeggiante gelato, circondato da vari cuoricini rossi. Potrebbe sembrare un’ironica operazione di pessimo gusto su una tragedia immane, ma è invece un intervento molto coraggioso perché l’artista è nato proprio a Hiroshima, e l’imprinting psicologico di questo avvenimento è, per così dire, inscritto nel suo DNA familiare. Shinya mi spiega che la sua scelta di operare in questo modo nasce proprio dalla necessità di contribuire, come artista, sia pure in modo utopico, a ribaltare il segno negativo dell’odio e delle guerre nel segno positivo, quello

 

Francesco Poli

Shinya Sakurai – All over: la profondità della superficie

Anche se apparentemente sono di immediata e fresca fruibilità decorativa, le pitture di Shinya Sakurai non sono di così facile lettura come sembrano a prima vista. Se le osserviamo con calma e attenzione, se lasciamo che il nostro sguardo venga coinvolto nelle fitte textures che ricoprono senza soluzioni di continuità tutto lo spazio delle tele, veniamo progressivamente coinvolti in una irridescente dimensione di vibrante tensione quasi ipnotica, da un raffinato e complesso gioco di combinazioni cromatiche seriali e allo stesso tempo sottilmente variate.
Formalmente le unità di base sono dei piccoli tasselli di colore, un nugolo di semplici configurazioni segniche/pittoriche in stretta interconnessione fra loro come pezzi di un puzzle o come agglomerati ordinati anche se sempre in qualche modo fluttuanti.
Le composizioni hanno, nel complesso, colorate valenze astratte geometrizzanti, ma in molti casi sono costituite da sintetici elementi iconici e simbolici che animano con significati più profondi la dialettica pittorica di superficie. È il caso delle serie di dipinti dove troviamo delle sequenze di croci, o quelle più accattivanti in cui dominano schiere di cuoricini.
Anche se nel lavoro di Shinya (che ormai da tanti anni vive in Italia a Torino) è sempre avvertibile una certa influenza della specifica cultura e del gusto del suo paese natale, il Giappone, l’artista è soprattutto interessato a sviluppare un linguaggio espressivo con caratteri assolutamente generali, di diretta comprensione universale. Per lui l’arte deve essere un mezzo per trasmettere in modo suggestivo un messaggio di speranza in un mondo migliore, una visione poetica che inneschi in chi guarda i suoi quadri un senso di serenità e di felicità. Il suo è un ben cosciente ottimismo della volontà, non una facile e gradevole proposta estetica. E si può comprendere bene quest’attitudine dell’artista se ci soffermiamo, in particolare, sul significato dei suoi quadri di qualche anno fa intitolati Love from Hiroshima. Sono dipinti di gioiosa e luminosa cromaticità, in cui vediamo il fungo atomico che sembra una sorta di grande cono di spumeggiante gelato, circondato da vari cuoricini rossi. Potrebbe sembrare un’ironica operazione di pessimo gusto su una tragedia immane, ma è invece un intervento molto coraggioso perché l’artista è nato proprio a Hiroshima, e l’imprinting psicologico di questo avvenimento è, per così dire, inscritto nel suo DNA familiare. Shinya mi spiega che la sua scelta di operare in questo modo nasce proprio dalla necessità di contribuire, come artista, sia pure in modo utopico, a ribaltare il segno negativo dell’odio e delle guerre nel segno positivo, quello auspicato dall’umanità intera, dell’amore, della pace, e della fratellanza universale.
Ed è per questo che dei cicli dei suoi quadri hanno titoli come Love and Peace, e United Colors, che fanno eco allo slogan delle battaglie pacifiste degli anni Sessanta, e alla famosa campagna pubblicitaria con le foto di Oliviero Toscani per Benetton.
A questo proposito si può dire che, per certi versi, la ricerca di Shinya è indubbiamente legata alla dimensione pop, sia pure con connotazioni abbastanza particolari. Ma per altri versi la possiamo anche collegare, in qualche modo, a un’altra tendenza altrettanto rilevante, e cioè a quella minimalista anche se da intendersi in chiave non freddamente rigorosa ma ludicamente postmoderna.
Per quello che riguarda i possibili riferimenti molti sono gli artisti che vengono in mente, da Larry Poons a Alighiero Boetti, da Yayoi Kusama a Damien Hirst, ma nessuno di questi appare come un’influenza determinante. Per fortuna Shinya Sakurai assomiglia soprattutto a se stesso.