Mondo di sofferenza:
eppure i ciliegi
sono in fiore.
Kobayashi Issa
(1763-1827)
La pittura di Shinya Sakurai è il frutto di un dialogo contemporaneo tra la sensibilità e il linguaggio dell’Oriente odierno (in particolare del suo Giappone) e i segni prodotti dalla cultura di massa dell’Occidente, che un vasto versante dell’arte attuale ha fatto propri e rielaborato.
Il suo percorso artistico infatti si dipana, in modo molto personale, tra esperienze memoriali e visive legate alla sua terra e ai suoi drammi – come quello di Hiroshima, città di origine dell’artista – e una catarsi emozionale degli stessi. Ragion per cui assistiamo, soprattutto nei suoi primi lavori, alla messa in scena di ombrelli o funghi atomici che si trasformano, ingentilendosi, in glasse colorate, ambiguamente divertenti, per esplodere poi in ghirlande floreali astratte che si deformano in rabescate e vivaci colature.
Segue la nutrita serie di opere dei “Delicious Colors”, ovvero l’improbabile e ironica delizia di un colore “iper pop”, di una vivida tavolozza basata su accesi contrasti cromatici che tuttavia si armonizzano in un gioco sapiente e complesso col quale l’artista dà forma a una tessitura luminosa di forte impatto visivo ed emotivo.
Così Sakurai invita a “gustare” le sue opere, frutto di una ricerca pittorica che si muove in bilico tra i due poli opposti dell’arte contemporanea: l’aniconico e l’iconico. Con tenace coerenza, ma allo stesso tempo con arguzia e scarti inaspettati, l’artista opera sostanzialmente in una dimensione di non-rappresentazione, senza però rinunciare ad introdurre (o a nascondere) nel sostrato materico astratto della sua pittura – quasi in funzione di interferenza visiva – elementi iconici che suscitano nello spettatore singolari cortocircuiti percettivi. Si tratta di “segni” di varia natura, estrapolati dall’universo domestico del quotidiano, oppure dal linguaggio della matematica o dalle rappresentazioni simboliche della cultura antropologica appartenente alle più svariate latitudini.
Le tele di vario formato esposte in mostra si offrono come un campionario di forme che si combinano geometricamente secondo una logica di ripetitività seriale, ovvero secondo il principio tutto orientale (ma acquisito oramai da un ampio versante dell’arte occidentale) della variazione nella ripetizione, principio caro alla musica minimalista di Terry Riley, Philip Glass e Steve Reich. Del resto è la natura stessa a proporci ritmi vitali ricorrenti, con le sue moltiplicazioni ordinate che sviluppano minuscoli elementi geometrici in forma di frattali matematici. Tali elementi stanno alla base del mutamento minimale e progressivo che è fonte di armonia sorprendentemente gioiosa per chi riesce a coglierne l’essenza nel tempo che cresce e trascolora.
Shinya Sakurai sa appunto coglierla questa essenza e riproporcela grazie all’energia vitale che emana dalle sue opere, anche dalle sue ultime e monocrome stelle sfibrate in un blu nostalgico che appaiono come pulsazioni elettrificate e luminescenti di un antico haiku giapponese, magari di Kobayashi Issa:
Ciliegi in fiore sul far della sera
anche quest’oggi
è diventato ieri.
Marco Jaccond